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La groma
[Topografia]
Il Museo Civico eporediese, conserva, nei suoi magazzini, una bella tavola di marmo bianco, appartenuta alla collezione Perrone, decorata a bassorilievo, alta 1,70 m. e larga 0,60 m., scoperta nei dintorni di Ivrea in un luogo non ben precisato, risalente al I sec. d.C.; la stele, rinvenuta già spezzata in tre parti, venne poi ricomposta.
Si riporta l'iscrizione presente sulla stele, riconosciuta ad Ivrea alla fine del sec. XVIII, con indicate tra parentesi quadra, le parti mancanti e tra parentesi tonde il completamento delle parole. [TR] IB CLAUDIA [L (VCIVS)] AEBVTIVS L(VCII) L(IBERTVS) [F] AVSTVS MENSOR SEXVIR SIBI ET ARRIAE Q(VINTI) L(IBERTAE) AVCTAE VXORI ET SVIS ET ZEPYRE LIBERT[AE] V(IVVS) F(ECIT) [Tribù Claudia – Lucio Ebuzio Fausto, liberto di Lucio, agrimensore, seviro, per sé e per la moglie Arria Aucta, liberta di Quinto, e per i suoi e per la liberta Zefira fece, essendo vivo]
L'espressione Vivus Fecit si riferisce all'usanza romana di prepararsi la lapide sepolcrale da vivi, per indicare sulla stessa, ciò che di sé si voleva tramandare ai posteri; all'atto del decesso veniva spesso aggiunto il numero esatto degli anni, dei mesi e dei giorni di vita della persona. Ai nomi sono generalmente aggiunte indicazioni relative alle cariche ed agli onori della persona ed in questo caso le iscrizioni funerarie diventano delle vere e proprie iscrizioni onorifiche. Nelle classi più modeste è indicata la professione, come avviene nel caso di Aebutius Faustus, oppure il servizio militare compiuto, non avendo altre cariche da mettere.
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L'iscrizione eporediese è preceduta dall'indicazione della tribù Claudia e questo indica che il personaggio ricordato non era cittadino eporediese, poiché in questo caso avrebbe dovuto essere ascritto alla tribù Pollia. Nella parte alta, a sinistra, la lastra è un po' rovinata ed è priva della lettera L, iniziale di Lucius, davanti alla parola Aebutius; si è certi della sua presenza poiché l'agrimensore eporediese era un liberto, come indicato appena più avanti nell'iscrizione, ossia uno schiavo di Lucio affrancato dalla schiavitù. I liberti, in segno di benevolenza e di gratitudine verso il vecchio padrone, ne assumevano il praenomen, corrispondente al nostro nome proprio.
Ebuzio Fausto era un mensor, un misuratore della terra, quello che oggi potremmo identificare nel geometra, ma era anche sexvir, ovvero addetto al culto dell'Imperatore. Augusto non volle che in Roma si tributasse il culto alla sua persona; nelle province permise soltanto che tale culto fosse accompagnato anche dal culto di Roma. Questa limitazione verrà poi abolita dai successori di Augusto, cosicché in tutte le città di una certa importanza furono costruiti templi dedicati all'Imperatore, serviti da appositi sacerdoti chiamati Augustali. La storia degli Augustali va divisa in due periodi: nel primo (I sec. d.C. e metà II), i seviri augustales furono una vera e propria magistratura più che un sacerdozio, poiché ebbero le insegne dei magistrati curuli, ovvero i fasci littori; dalla metà del II secolo in poi i seviri augustales vennero aumentati di numero e costituiti in collegio pur conservando l'originaria denominazione.
Nella parte inferiore della lapide, centralmente, in alto, è rappresentato un subsellium, la sella curule, ovvero una specie di sedile utilizzato nei luoghi pubblici e riservato ai magistrati di rango inferiore. Sopra il subsellium è scolpito un pulvinus, o cuscino, e ai due lati due fasci littori. Col subsellium e con i fasci littori, Ebuzio ha voluto ricordare la carica ricoperta; la presenza dei fasci, simboli della magistratura, conferma che la lapide è del I sec. d.C. o comunque non oltre la I metà del II.
Sulla tavola marmorea, nella sua parte fondamentale, è poi rappresentato lo strumento di lavoro del mensor: la groma. L'agrimensore romano usava questo strumento per tracciare con precisione sul terreno i cardines ed i decumani. (Scopri come funzionava la groma).
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Fino ai primi anni del 1800 (dopo la scoperta della città “sommersa” di Pompei, i cui scavi sono cominciati nella II metà del XVIII sec.) la ricostruzione della groma, si basava esclusivamente sulla riproduzione, peraltro rarissima, eporediese, che dovrebbe costituire un vanto per il nostro Museo. Purtroppo però l'ultima occasione (unica, a dire il vero, in questi ultimi anni) per vederla dal vivo, e non soltanto in fotografia, è stata la mostra dedicata al “Papiro di Artemidoro” tenutasi a Torino, a Palazzo Bricherasio, nel 2006 (8 febbraio-7 maggio).
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