La fondazione di Eporedia fu la conseguenza della vittoria riportata da Appio Claudio Pulcro nel 143 a.C. contro i Salassi; conseguenza non troppo immediata, poiché avvenne ben 43 anni dopo la vittoria stessa, ma non per questo meno logica, essendo stata suggerita o, meglio ancora, imposta, dalla necessità di non perdere i frutti assicurati da quella vittoria e cioè la disponibilità delle miniere d'oro, il libero transito di uomini e mezzi attraverso la valle della Dora Baltea e il possesso del territorio conquistato. Alla forza delle armi i Romani seppero aggiungere una grande capacità di governo e una tecnica perfetta nell'organizzare la vita politica e amministrativa dei paesi conquistati.
Di questa capacità e di questa tecnica le colonie furono una delle più tipiche espressioni e se l'istituto della colonia ha origini antichissime, da Roma ricevette una configurazione politica e giuridica tutta propria, diventando simbolo e consolidamento della conquista e della supremazia politica su un dato territorio, possesso agrario, mezzo di difesa e valido strumento di assorbimento, di attrazione e di assimilazione dell'elemento indigeno. Fondare una colonia non significava dunque solo tracciare un solco, delimitare un perimetro, innalzare una cinta muraria e costruire degli edifici, ma significava prima di tutto prelevare una piccola parte di Roma e trapiantarla in una regione lontana, destinata a diventare, in un periodo di tempo non troppo lungo, romana.
C'è grande differenza tra la colonizzazione romana e quella di altri tempi: a Roma la fondazione di una colonia era un atto del potere sovrano e avveniva in forza di una lex rogata, ossia di una legge discussa e approvata, con una votazione democratica, dai comizi centuriati. Essa non era una semplice avventura pionieristica ma una decisione mediata e consapevole che, se da una parte obbligava dei cittadini romani a lasciare Roma per trasferirsi in altre regioni di recente conquista, dall'altra li premiava con l'assegnazione di terre delle quali essi diventavano legittimi proprietari e che costituivano senza dubbio la fonte di una nuova ricchezza.
La colonizzazione romana non avvenne però sempre nello stesso modo ma fu attuata con metodi e forme diverse a seconda delle epoche in cui essa si svolse, dei nuovi territori che si trattò di inserire nello stato romano e delle condizioni politiche, giuridiche e amministrative riservate ai territori medesimi.
All'inizio, con le città che avevano accettato liberamente l'alleanza, Roma si era limitata a stipulare speciali trattati in base ai quali veniva loro riconosciuta la qualità di città federata. Esse avevano libertà e privilegi in misura molto diversa ma di tutte Roma aveva rispettato l'amministrazione autonoma e le magistrature. I loro abitanti chiamati socii non erano cittadini romani ma avevano obblighi militari e prendevano parte alla guerra. In questo caso non venivano arruolati nelle legioni, riservate ai cittadini romani ma costituivano reparti di truppe ausiliari con propri ordinamenti e propri ufficiali. Le città conquistate e successivamente annesse allo stato romano erano invece costituite in municipi con proprio ordinamento e propri magistrati. I loro abitanti erano considerati come cittadini romani però di un grado inferiore non potendo essere né eletti né elettori, ovvero cives sine suffragio. Non avevano quindi diritti politici ma possedevano i diritti civili come ad esempio lo ius connubii ossia quello di contrarre matrimonio con cittadini romani.
La colonizzazione vera e propria si ebbe solo con la deduzione di colonie, ossia con lo stanziamento di cittadini romani o latini in territori recentemente conquistati o politicamente inaffidabili. Si hanno così le coloniae civium romanorum e le coloniae latinae. Le prime erano formate da cittadini romani optimo iure ossia forniti di tutti i diritti politici e civili e iscritti regolarmente nei ruoli delle 35 tribù; le seconde erano formate da abitanti delle città latine che non erano cittadini romani veri e propri ma avevano una particolare forma di cittadinanza assai vicina a quella romana e godevano di molti diritti civili e politici. La colonizzazione romana entrò in una nuova fase in seguito alla riforma dell'esercito effettuata da Mario che rese l'esercito più compatto, omogeneo ed efficiente. I proletari chiamati a formarlo, dopo la lunga ferma, non possedevano alcun tipo di ricchezza perciò al momento del congedo si doveva provvedere ad essi con l'assegnazione di terreni. Ebbero così inizio le coloniae militares, formate da veterani; una di queste fu Augusta Praetoria, fondata nel 25 a.C. dopo la definitiva sconfitta dei Salassi.
La deduzione di una colonia era un atto del potere sovrano e avveniva in forza di una legge. Incaricati della deduzione erano i tres viri coloniae deducendae eletti dal popolo e forniti di larghi poteri. I cittadini che partecipavano alla deduzione giungevano alla località conquistata in formazione militare col vexillum in testa. Qui, dopo che erano stati presi gli auspici, il deducente tracciava con l'aratro un solco che delimitava il perimetro della nuova città in cui avrebbero risieduto i coloni. Aveva quindi luogo la misurazione del territorio coltivabile assegnato alla colonia da parte degli agrimensori per mezzo di uno strumento, la groma, e la sua divisione (centuriatio) in appezzamenti di maggiore o minore estensione a seconda della qualità del terreno e delle sue possibilità di produzione agricola.
Effettuata la divisione, gli appezzamenti (parcellae) erano assegnati in proprietà ai singoli coloni. Le divisioni erano segnate sul terreno da cippi ed erano riportate su una mappa forma della colonia in cui erano indicati i confini della colonia, le divisioni e le assegnazioni dei terreni. Il deduttore effettuava poi il censimento, nominava i primi magistrati e sacerdoti e il primo consiglio o senato della colonia che iniziava così la sua vita regolare.
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